martedì 19 novembre 2013

L'antico regime: una società rurale

L'antico regime era una società rurale: l'85% della popolazione viveva in campagna e l'agricoltura deteneva un'assoluta centralità produttiva. Il vincolo più forte dell'economia era costituito dalla disponibilità della terra. Infatti, non vi furono grandi miglioramenti nella produttività del lavoro (sempre molto bassa).
L'unico modo per aumentare le risorse fu dunque di ampliare la superficie coltivata. Per soddisfare le esigenze primarie di dieci persone era necessario il lavoro di sette o otto uomini, comportando una forte concentrazione della forza lavoro nell'agricoltura (65-90% della popolazione).
La scarsa produttività del lavoro consentiva solo a pochi di vivere del lavoro altrui: anche i vecchi, i bambini e le donne, dunque, lavoravano.

Nella società d'antico regime la dimensione dell'industria era rappresentata dalla bottega artigiana o dal lavoro a domicilio. Spesso queste attività erano svolte da contadini nelle loro case, soprattutto nei periodi di calo dei lavori agricoli o anche a mezza giornata.
Il peso del settore industriale era marginale sia per il numero di uomini occupati sia per la quantità di capitale investito.
Le eccezioni non mancavano: nel Cinquecento gli stabilimenti tessili <<Gobelins>> avevano circa 1700 dipendenti, 2000 l'arsenale di Venezia, circa 700 le miniere di allume di Tolfa. Queste imprese erano controllate o direttamente dagli Stati o da finanzieri che spesso avevano acquisito le loro fortune nel commercio a grande distanza.

L'Europa occidentale era l'area più urbanizzata del mondo. Si può affermare che nell'Europa d'antico regime, su 10 persone, una sola vivesse in una città vera e propria, 2 in piccoli borghi rurali con circa 2000 abitanti e 7 in villaggi di campagna di 500-700 abitanti. Questi villaggi erano esclusi dalle innovazioni economiche e sociali che preparavano il mondo contemporaneo e che si sviluppavano nelle città. Gli storici li hanno addirittura definiti immobili.
Questa immobilità era causata soprattutto dall'isolamento in cui si svolgeva la vita dei villaggi rurali.
I mezzi di trasporto erano lentissimi e rendevano distanze per noi assai modeste, enormi. Le comunicazioni commerciali erano dunque del tutto inadeguate e risultava poco conveniente vendere o acquistare merci lontano dalla propria comunità. Tutto ciò impegnava questi piccoli villaggi nella ricerca di una difficile autosufficienza: la loro economia era così ancora dominata dall'autoconsumo e dal baratto.

Contraria ai villaggi era l'estrema vitalità delle città. Nelle città, infatti, maturarono le rivoluzioni che inaugurarono l'epoca contemporanea. Esse ospitavano solo una piccola parte della popolazione, ed ebbero grandissima importanza perché furono il luogo in cui si realizzarono grandi innovazioni economiche e sociali.
Nelle città si trovavano i centri di controllo di tutte le più importanti funzioni politiche, economiche, culturali e militari. Inoltre, la diffusione di città con decine di migliaia di abitanti implicò problemi di approvvigionamento che andavano ben al di là della possibilità di sostentamento che le campagne circostanti offrivano. La città poteva sopravvivere solo ricorrendo ai grandi traffici commerciali, sfruttando fino in fondo le possibilità offerte dall'economia di mercato. Nella realtà urbana, infine, era necessario risolvere grandi problemi (il rifornimento idrico, le fognature, la sanità), applicando tutte le innovazioni tecnologiche e culturali che i tempi offrivano.
Ma al contadino, che vi si recava ogni tanto per pagare l'affitto, la città suggeriva ben altre considerazioni. Nella città, in questo luogo innaturale dove non si produceva quasi niente e si trovava tutto, si rivelava con maggiore brutalità il divario enorme che separava il povero dal ricco, le disuguaglianze e i privilegi che costituivano l'essenza della società d'antico regime.

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