martedì 19 novembre 2013

L'antico regime: lo Stato

Tra il XII e il XV secolo, le monarchie feudali erano caratterizzate da una sorta di contratto tra sovrano e società: nella sostanza, clero, nobiltà e Terzo stato accettavano di sottomettersi all'autorità del re nella misura in cui si faceva garante dei loro privilegi. Il re era una specie di supremo magistrato e non poteva introdurre nessuna innovazione di rilievo senza il consenso dei sudditi.
Progressivamente, però, i sovrani rigettarono questo ruolo di arbitri e rivendicarono un potere assoluto. In estrema sintesi, il sovrano:
- respinse la formula medievale l'ex facit regem, <<la legge fa il re>>, nel senso che è la legge a fondare e limitare il potere sovrano;
- e adottò la formula assolutistica Rex facit legem, <<il re fa la legge>>, cioè è il re a fondare la legge e a determinarne la validità.
Concretamente, però, i sudditi non avevano nessuna possibilità di difendersi dalle pretese della corona: un suddito non aveva diritti ma solo doveri.
La monarchia assoluta si affermò in Europa dopo la guerra dei Trent'anni (1618-1648) e fu la forma di Stato tipica dell'antico regime.

L'assolutismo va inteso come un <<progetto>> piuttosto che come un <<fatto>>: il sovrano puntava ad esercitare un controllo completo sul territorio e sulla società, ma in realtà non aveva alcuna possibilità di riuscirci.
Oltre a essere disorganizzata, la burocrazia, per quanto crescesse senza posa, risultava insufficiente: ciò spiega l'esistenza di isole in cui il potere centrale contava assai poco e il fatto che gli editti regi fossero talora disattesi senza troppo curarsi delle sanzioni minacciate.

Un altro aspetto fondamentale dello Stato d'antico regime era l'alleanza tra trono e altare. Il potere temporale esercitava un controllo diretto sulle gerarchie ecclesiastiche e questo valeva nei paesi cattolici e ancor di più in quelli protestanti. Il sovrano pretendeva dal clero obbedienza e collaborazione; in cambio amava presentarsi come il protettore della vera fede, cioè di quella che lui stesso professava. Questa forte alleanza tra trono e altare era un'eredità dei secoli XVI e XVII, che avevano visto l'esplosione della Riforma protestante, la reazione controriformistica della Chiesa cattolica, le persecuzioni e le guerre di religione.
In quest'epoca le Chiese si erano avvalse degli strumenti repressivi del potere temporale per perseguitare gli eretici e per tutelare la loro autorità. In cambio avevano offerto al rebil riconoscimento del suo potere che ancora veniva ritenuto sacro e d'origine divina.
L'identificazione Chiesa-Stato costituiva la radice fondamentale dell'intolleranza: verso le minoranze religiose e, in generale, verso chiunque non si conformasse pienamente ai costumi dominanti.

Nei secoli dell'antico regime lo Stato era considerato un patrimonio della dinastia regnante. Ovviamente il re non aveva il possesso di tutte le terre del regno, ma era padrone di agire come voleva su di esse.
Come tutti i beni, anche lo Stato alla morte del legittimo proprietario, cioè il sovrano, passava in eredità ai suoi figli.
Questa concezione patrimoniale e dinastica dello Stato giustificava le pretese assolutistiche: il sovrano cioè era libero di disporre dello Stato proprio in quanto legittimo proprietario. La Rivoluzione francese, infatti, contesterà questo principio affermando che il fondamento <<di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione>>, cioè nell'insieme degli individui che la costituiscono.

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