martedì 19 novembre 2013

Due Europe tra Seicento e Settecento: le rivoluzioni inglesi

I sovrani della dinastia Stuart che ressero l'Inghilterra dal 1603 al 1688 tentarono più volte d'imporre al paese una monarchia assoluta. Tale tentativo, però, incontrò una forte resistenza nella società inglese che avanzò precise rivendicazioni religiose, giuridiche ed economiche.
Intanto, cresceva un vasto dissenso nei confronti della Chiesa anglicana, la Chiesa di Stato il cui capo supremo era il re, guidata da un clero spesso corrotto.
Molti fedeli aderirono al movimento puritano, caratterizzato da una più severa osservanza della dottrina calvinista e dalla rivendicazione di un'organizzazione ecclesiastica gestita dal basso. La comunità aveva cioè il diritto di eleggere i propri pastori, secondo un principio democratico che lasciava libera espressione alla coscienza individuale.
Questa rivendicazione aveva un valore rivoluzionario: significava pensare ad una monarchia dotata di un potere non assoluto ma limitato ( lo Stato non poteva infatti esercitare la propria sovranità sulla coscienza dei singoli).

Le rivendicazioni religiose si saldarono immediatamente con quelle politico-giuridiche avanzate dal Parlamento. Il tentativo del sovrano Carlo I di imporre l'assolutismo indusse il Parlamento a difendere i propri diritti.
Nel 1628 l'assemblea presentò la Petizione dei diritti con cui chiedeva al re di rispettare le tradizionali prerogative sancite dagli statuti medievali e in particolare dalla Magna Charta del 1215. La petizione difendeva soprattutto il principio della libertà personale, per cui nessun suddito poteva essere arrestato arbitrariamente , e l'obbligo di sottoporre ogni nuova imposizione fiscale all'approvazione delle Camere.
Si era creato, quindi, un conflitto fra gli interessi del Parlamento e quelli del sovrano.

Anche sul piano dell'economia cresceva la distanza tra corona e paese: i ceti produttivi tolleravano sempre meno l'intromissione della monarchia contestando i monopoli che il monarca concedeva e le leggi con cui governava.
I ceti produttivi traevano grandi profitti dal commercio e dall'espansione coloniale. Pretendevano quindi che la monarchia appoggiasse i loro interessi con appropriate scelte in politica estera e con adeguati provvedimenti.
Maturava dunque l'esigenza della società inglese di partecipare direttamente alla gestione dello Stato.

Le rivendicazioni  del Parlamento non furono accolte da Carlo I. Il re non intendeva rinunciare al potere assoluto. Ben presto l'Inghilterra precipitò in una grave guerra civile che insanguinò il paese per sette anni.
Il Parlamento contava sull'appoggio delle masse popolari, mentre con il re si schierarono le gerarchie della Chiesa anglicana e quella parte di nobiltà spaventata dalla radicalità delle rivendicazioni avanzate.
Vinse la battaglia l'esercito del Parlamento guidato da Oliver Cromwell, il New Model Army che, sorto dalle direttive di Cromwell, dimostrò da subito le sue capacità strategiche, nonché lo spessore intellettuale e politico di chi lo componeva.
Fu proclamata la repubblica; il monarca fu processato e condannato a morte. Il Parlamento, processando il re, aveva di fatto  affermato il proprio primato. Esso però ora non riusciva a governare perché diviso in troppe fazioni.
Si erano diffuse, inoltre, tendenze radicali, come quelle dei Levellers, che si esprimevano nella richiesta del suffragio universale, e quelle dei Diggers che richiedevano persino l'abolizione della proprietà privata.
Per preservare il paese dall'anarchia, Cromwell e i capi dell'esercito elaborarono un documento nel quale si proponeva di affidare lo Stato ad un Lord Protettore, cioè a Cromwell stesso. Si trattò di una vera svolta dittatoriale che finì per preparare il ritorno della monarchia. Due anni dopo la morte di Cromwell, infatti, venne restaurata la monarchia.

La maggioranza del Parlamento acconsentì alla restaurazione della monarchia con Carlo II per garantire all'Inghilterra una pace duratura.
Quando fu chiaro che l'intenzione del sovrano era di ritornare a un ordinamento assolutistico, gli antichi contrasti esplosero nuovamente.
Il vero scontro tra Parlamento e monarchia si verificò alla morte di Carlo II, nel 1685, quando il trono passò al fratello Giacomo II. Il re realizzò una politica fortemente antiprotestante con l'obbiettivo di restaurare la religione cattolica in Inghilterra.
L'ostilità del Parlamento divenne ancora più determinata quando Giacomo II ebbe un erede maschio. Nella volontà di difendere il protestantesimo e la libertà del paese il Parlamento decise quindi di offrire la corona a Guglielmo d'Orange, sposo di Maria Stuart, figlia protestante di Giacomo II.
Nella discussione che portò a questa scelta, i diversi orientamenti presenti nel Parlamento si raccolsero in due schieramenti:
- i whigs, filoparlamentari;
- i tories, difensori delle prerogative regie, della Camera dei Lords e della Chiesa anglicana.
La formazione dei partiti era una novità assoluta nella politica europea.

Nel 1688 Giacomo II, ormai isolato, fuggì dal paese e Guglielmo potè prendere possesso del trono. Il Parlamento aveva compiuto una specie di miracolo: aveva realizzato un colpo di Stato senza nessuna violenza. Proprio per questo la rivoluzione venne definita <<gloriosa>>: perché non vi era stato nessuno spargimento di sangue.
L'aspetto più importante della Gloriosa Rivoluzione fu che il Parlamento impose a Guglielmo di giurare una Dichiarazione dei diritti in cui venivano sanciti i diritti dei cittadini e del Parlamento.
Questi diritti, che il sovrano si impegnava a rispettare, rappresentavano il limite del suo potere.
La Dichiarazione dei diritti affermava chiaramente che le iniziative del sovrano dovevano godere del consenso del Parlamento. Di fatto si applicò il principio del << contratto>>: un accordo tra Parlamento e Corona che garantiva le libertà politiche e religiose, la certezza del diritto e la fine dell'arbitrio.
Sulla base di questi principi venne approvato nel 1689 l'Atto di tolleranza che, pur escludendo i cattolici, poneva di fatto fine all'epoca delle persecuzioni religiose. Nel 1701, infine, venne emanato l'Act of Settlement, che garantiva l'indipendenza dei giudici e impediva una successione cattolica al trono inglese.



Guglielmo III morì nel 1702 e la corona passò ad Anna, figlia di Giacomo II e ultima Stuart. Pochi anni dopo, nel 1707, venne creato il Regno Unito di Gran Bretagna, formato dall'unione politica di Scozia, Irlanda e Inghilterra.
Anna Stuart morì nel 1714 senza lasciare eredi diretti. La Gran Bretagna passò a Giorgio di Hannover, protestante e lontanamente imparentato con gli Stuart, che prese il nome di Giorgio I e diede inizio alla dinastia che ancora oggi regna in Inghilterra.

Il Parlamento inglese era costituito da due Camere: la <<Camera dei Lords>> riservata ai primogeniti delle più importanti famiglie aristocratiche e ai prelati della Chiesa anglicana; e la <<Camera dei Comuni>> composta dai rappresentanti eletti dalle classi agiate delle città e delle contee.
Va ricordato che non tutti i cittadini avevano diritto di voto: il Parlamento, dunque, non rappresentava gli interessi di tutti gli Inglesi, ma solo quelli dei ceti dominanti.

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