martedì 19 novembre 2013

Dinastia Stuart

Il Casato degli Stuart, o Stewart, o "Stiuard" è stato la casa reale della Scozia e successivamente della Gran Bretagna. Il casato era di origine bretone.
Il casato regnò sul Regno di Scozia per 336 anni, tra il 1371 e il 1707. Dopo la morte di Elisabetta I d'Inghilterra, l'ultima monarca della dinastia Tudor, il casato degli Stuart le succedette sui troni di Inghilterra e Irlanda. Tra il 1603 e il 1707 gli Stuart furono i regnanti sui tre regni di Scozia, Inghilterra e Irlanda con la formula dell'unione dinastica. In seguito il loro posto come famiglia reale venne preso dagli Hannover. Diversi membri di vari rami cadetti o illegittimi sono presenti ancora oggi


Origini

Le origini della famiglia Stuart sono remote e oggi piuttosto oscure; si possono far risalire tuttavia ad Alan FitzFlaad, che giunse in Inghilterra poco dopo l'occupazione normanna capeggiata da Guglielmo il Conquistatore. Seguace del vescovo di Dol, nel ducato di Bretagna ricoprì gli incarichi prestigiosi di Steward e di Dapifer (letteralmente, "colui che porta il cibo"). Gli storici non sono riusciti a chiarire se Alan fosse un nobile bretone o normanno. Alan godeva di ottimi rapporti con la Casa reale normanna ed era molto vicino al re Enrico I, che gli concesse terre nella regione dello Shropshire. La famiglia FitzFlaad stabilì proprio nello Shropshire la sua atavica dimora, divenendo in breve tempo una delle famiglie della migliore nobiltà del regno. Alcuni suoi membri ricoprirono l'importante carica di High Sheriff of Shropshire.
Il nipote di Alan,Walter FitzAlan , nato presso Oswestry, fu il prediletto della famiglia a ricoprire la carica di High Steward of Scotland, rendendola ereditaria, mentre suo fratello William d'Aubigny divenne il primo conte di Arundel. Durante il periodo conosciuto come Anarchia, i due fratelli furono sostenitori di Matilde, Lady of the English nella sua lotta contro il cugino Stefano I d'Inghilterra. Altro sostenitore di Matilda fu suo zio Davide I, re di Scozia appartenente al Casato dei Dunkeld. In seguito alla sconfitta militare di Matilda, che lasciò l'Inghilterra, Walter FitzAlan fu costretto a seguire re Davide I nella sua ritirata verso la Scozia. Qui ricevette terre nel Renfrewshire e gli fu confermato l'incarico a vita di High Steward of Scotland. Sotto il regno di Malcolm IV di Scozia il titolo di High Steward venne reso ereditario per la famiglia FitzAlan; fu così che il figlio di Walter assunse il cognome Stewart. Il nuovo clan Stewart scelse la città di Dundonald come residenza ufficiale.
Il sesto High Stewart di Scozia, Walter Stewart prese in moglie Marjorie Bruce, figlia del re degli scozzesi Roberto I, e partecipò in prima persona alla battaglia di Bannockburn. Il figlio della coppia, Robert, aveva quindi sangue reale, e quando suo zio Davide II morì senza eredi nel 1371, fu designato come suo successore e prese il nome di Roberto II di Scozia. Si estingueva così il Casato reale di Bruce ed iniziava la dinastia reale Stewart.

Re di Scozia: da Roberto II a Giacomo V

La nuova dinastia reale si dovette confrontare subito con due gravi ostacoli: al suo interno essa era minacciata dall'indipendenza della nobiltà scozzese, all'esterno dalla potenza militare inglese. Dopo i regni di relativa tranquillità di Roberto II (1371-1390) e Roberto III alla morte di quest'ultimo, il nuovo re Giacomo I (1406-1437) era prigioniero degli inglesi e tale rimase per diciotto anni, sino a quando i nobili scozzesi capeggiati da suo zio, il duca d'Albany, non pagarono il riscatto per liberarlo nel 1424. Il re, che era stato in stretto contatto con il modello di gestione inglese, intraprese subito azioni decise per riottenere autorità e controllo nel regno. In una di queste fece giustiziare la famiglia Albany, che si era opposta alle sue azioni e che aveva ritardato il pagamento del suo riscatto, contribuendo a gettare il regno nel disordine. Giacomo I avviò inoltre numerose riforme finanziarie e legali. Ad esempio, con lo scopo di favorire il commercio con altre nazioni, rese le monete scozzesi scambiabili con valuta straniera, solo all'interno dei confini scozzesi. Cercò poi di rimodellare il Parlamento di Scozia su modello di quello inglese e in politica estera, nel 1428 rinnovò la Vecchia Alleanza, un accordo militare franco-scozzese contro l'Inghilterra.  

I sovrani che seguirono, Giacomo II (1437-1460) e Giacomo III (1460-1488) affrontarono gli stessi problemi dei loro predecessori nella guerra contro l'Inghilterra ed il potere incontrollato della nobiltà scozzese. Giacomo II, alleatosi con i Lancaster durante la guerra delle Due Rose, finì ucciso durante l'assedio della città reale di Roxburgh. Alla sua morte le congiure continuamente ordite ai danni del potere regio portarono all'assassinio di Giacomo III da parte di un gruppo di nobili scozzesi al soldo del re inglese. Con Giacomo IV (1488-1513) si ebbe il primo serio tentativo di pace con l'Inghilterra: il re infatti decise di sposare la figlia di re Enrico VII Tudor, Margherita. L'unione matrimoniale tra le due dinastie non riuscì tuttavia a mettere fine agli scontri armati e a garantire la pace: allo scoppio delle guerre d'Italia e dopo la formazione della Lega di Cambrai Giacomo IV si schierò con i francesi, contro gli inglesi. Nel 1513, durante la battaglia di Flodden Field, Giacomo IV, che comandava l'esercito scozzese contro quello di Enrico VIII Tudor, rimase ucciso. Il regno del suo successore, Giacomo V (1513-1542), fu caratterizzato da un forte fervore religioso, che portò a numerose esecuzioni capitali di eretici; il re non smise inoltre di combattere gli inglesi, ed attuò un piano di alleanza con la Francia, rinnovando la Auld Alliance e sposando la duchessa francese Maria di Guisa. Le battaglie contro il regno d'Inghilterra caratterizzarono tutta la durata del regno di Giacomo V.

Regina di Scozia: Maria I

Maria I, unica figlia sopravvissuta di Giacomo V e di Maria di Guisa, ascese al trono a soli sei giorni di vita nel 1542. Scappata dalle guerre anglo-scozzesi, quand'era ancora bambina, Maria fu cresciuta nell'ambiente colto e raffinato della corte francese di Caterina de' Medici ed ebbe un'ottima educazione in ambito culturale, ma non altrettanto approfondita in ambito politico, giacché la regina consorte di Francia non aveva potere effettivo. Il 24 aprile 1558, a sedici anni, sposò il Delfino di Francia Francesco, che salì al trono come Francesco II il 10 luglio 1559.
Alla morte di Francesco, avvenuta nel dicembre del 1560, Maria tornò in Scozia, dove l'attendeva lo scontro con la nuova religione calvinista, istituita durante la sua assenza. Maria fu una sovrana molto tollerante e questo non fece altro che aumentare il potere dei Lord protestanti. Scontentando i suoi nobili e sua cugina, la regina protestante Elisabetta I, Maria sposò il cattolico Henry Stuart, Lord Darnley, da cui ebbe un figlio, il futuro Giacomo VI. Il carattere di Darnley, le sue alleanze politiche e gli intrighi di corte portarono a una rottura nel rapporto tra i due sovrani.  

Scappata in Inghilterra, Maria pensava di poter essere aiutata dalla cugina Elisabetta, che invece la imprigionò per quasi vent'anni. In questi due decenni la regina di Scozia divenne il fulcro e l'anima del cattolicesimo inglese e molti complotti furono organizzati in suo nome per assassinare Elisabetta e innalzare Maria al trono. La regina di Scozia si ritrovò dunque a essere il simbolo vivente della Controriforma e finì sacrificata nella lotta tra la Spagna cattolica di Filippo II e l'Inghilterra protestante di Elisabetta I. Implicata nel complotto Babington, Maria fu accusata di alto tradimento e condannata alla pena capitale.
La sua esecuzione, avvenuta l'8 febbraio 1587, fu un duro colpo all'autorità divina dei sovrani: per la prima volta nella Storia una regina fu giudicata e condannata a morte, nonostante le peraltro flebili proteste dell'Arcivescovo di Londra. L'unico figlio di Maria, Giacomo, fu il primo re britannico che riunì i domini inglesi a quelli scozzesi.


Re d'Inghilterra: Giacomo I

Giacomo VI, figlio di Maria I, regnò in Scozia dal 24 luglio 1567, quando aveva solo un anno, fino alla morte; il paese fu governato da diversi reggenti durante la sua minorità, che terminò ufficialmente nel 1578, sebbene non abbia preso pieno controllo del suo governo fino al 1581. Il 24 marzo 1603, con il nome Giacomo I, succedette a Elisabetta I, ultima rappresentante della dinastia Tudor, che morì nubile e senza figli, sul trono inglese.
Giacomo I fu un monarca popolare in Scozia, ma fronteggiò molte difficoltà in Inghilterra: fu soprattutto incapace di trattare con il Parlamento, che si mostrò subito ostile nei suoi confronti, e di gestire la delicata questione religiosa che infervorava da anni il paese. Il suo gusto per l'assolutismo politico, la sua irresponsabilità nella gestione finanziaria del regno e i suoi impopolari favoriti, come il duca di Buckingham George Villers posero probabilmente le basi per lo scoppio della guerra civile inglese qualche anno dopo. Tuttavia, durante la vita di Giacomo I il governo del regno rimase sempre relativamente stabile.

Assieme ad Alfredo il Grande, Giacomo I è considerato uno dei più colti sovrani sia d'Inghilterra che di Scozia. Durante il suo regno continuò la straordinaria fioritura culturale dell'Età Elisabettiana nella letteratura, nelle arti e nelle scienze. Lo stesso Giacomo era uno studioso di talento, autore di opere sulle arti occulte come il Daemonologie (1597) e il Basilikon Doron (1599), nonché promotore della più importante traduzione in inglese della Bibbia, nota come Bibbia di Re Giacomo, tuttora unica versione ufficiale delle Sacre Scritture ammessa dalla Chiesa anglicana.

Re d'Inghilterra: Carlo I e la rivoluzione

Carlo I divenne re d'Inghilterra, Scozia e Irlanda alla morte del re Giacomo I, nel 1625. Sostenitore, come il padre, del diritto divino dei re, fu impegnato nella prima fase del suo regno una dura lotta di potere contro il Parlamento che gli si oppose risolutamente, temendo le sue aspirazioni assolutistiche, soprattutto nel tentativo di riscuotere le tasse senza il suo assenso. Altra causa di attrito con una parte della società inglese fu la sua politica religiosa: perseverando nel "sentiero intermedio" della Chiesa anglicana, fu ostile alle tendenze riformate di molti dei suoi sudditi inglesi e scozzesi e da questi accusato di essere a sua volta troppo vicino al cattolicesimo. Sposò infatti una principessa cattolica, Enrichetta Maria di Francia, ed ebbe come stretto collaboratore l'arcivescovo di Canterbury, l'anglicano William Laud. 

Le tensioni politiche e religiose accumulate nel corso degli anni si concretizzarono con lo scioglimento del Parlamento negli anni denominati del "Governo Personale" ed esplosero nella guerra civile inglese. Negli anni del Governo Personale, Carlo I si dimostrò un sovrano capace e un munifico mecenate. Ma il suo bisogno di soldi per finanziare le guerre lo portò a riassemblare il Parlamento. La situazione però andò degenerando e contro il re si scontrarono le forze parlamentari, che si opponevano ai suoi tentativi di accrescere il suo potere in senso assolutistico, e dei puritani, che erano ostili alle sue politiche religiose. La guerra, iniziata nel 1642, consistette in un susseguirsi di battaglie campali nelle quali emerse la superiorità delle armate parlamentari sui cavaliers fedeli al re e che si conclusero con una disfatta per Carlo, che venne catturato e processato. I suoi giudici, spinti da Oliver Cromwell, lo condannarono a morte con l'accusa di alto tradimento. Carlo I venne così giustiziato il 30 gennaio 1649.
Alla morte di Carlo I, il parlamentare Oliver Cromwell diede vita ad una governo repubblicano, con l'instaurazione del Commonwealth. Alla sua morte, nel 1658, gli succedette il figlio Richard, che non fu in grado di reggere le redini del governo e fuggì da Londra nel 1660.
 

Re d'Inghilterra: la Restaurazione di Carlo II

Fuggito dall'Inghilterra durante la guerra civile che portò all'esecuzione capitale di suo padre, Carlo II tentò di riappropiarsi della corona nel 1651 con la battaglia di Worcester. L'esito negativo del conflitto portò Carlo, che era stato eletto re di Scozia sempre nel 1651, a passare i nove anni che lo separavano dall'insediamento sul trono in terra straniera, ospite in Francia, Spagna e nei Paesi Bassi.
Quando nel 1669 il Protettorato retto da Richard Cromwell cadde, il generale George Monck invitò formalmente Carlo a tornare in patria dove avrebbe governato da re. Il 25 maggio del 1660 Carlo sbarcò su suolo inglese e il 29, giorno del suo trentesimo compleanno, entrò trionfalmente a Londra, dove fu incoronato. Il regno di Carlo II fu contrassegnato da un grande rinnovamento del Paese. grande incendio di Londra del 1665, che distrusse la città, diede al re la possibilità di affidare a prestigiosi architetti come Christopher Wren la ricostruzione della capitale. In politica estera Carlo II partecipò alla prima, alla seconda ed alla terza guerra anglo-olandese, espandendo il potere della marina inglese e consolidando l'autorità inglese nelle colonie del Nuovo Mondo, in particolare in quelle del Nord America. Fino al 1678 Carlo II si avvalse della collaborazione di valenti ministri come Lord Clarendon, Lord Buckingham e Lord Leeds. Fu in questi anni che si definì la differenza fra i due maggiori partiti politici inglesi, il partito Tory e il partito Whig. Entrato in conflitto con il Parlamento, nel 1679 decise di abolirlo e governò come sovrano assoluto sino alla morte, avvenuta nel 1685. Dal suo matrimonio con l'infanta Caterina di Braganza non era riuscito ad avere figli legittimi cosicché erede del suo trono fu il fratello Giacomo, duca di York.

Durante il regno di Carlo II, denominato Merrie Monarch, venne dato grande impulso allo sviluppo della arti e delle scienze, tanto che il re approvò la fondazione della Royal Society.

Re d'Inghilterra: Giacomo II e la Gloriosa Rivoluzione

Giacomo II divenne re nel 1685, alla morte del fratello maggiore Carlo. Nonostante l'opposizione di una parte del Parlamento, sfociata nell'Exclusion Bill e nel Rye House Plot, la sua nomina venne avallata dal Parlamento, che gli promise gli stessi contributi che erano spettati a suo fratello e predecessore. Ben presto però, alcuni suoi sudditi cominciarono a diffidare della sua politica religiosa apertamente filo-cattolica e lo sospettarono di dispotismo. Con la nascita del suo primo figlio maschio sopravvissuto, Giacomo Francesco Edoardo (1688), Giacomo II si assicurava una discendenza cattolica. Esclusi dalla successione al trono, Guglielmo d'Orange e Maria
, rispettivamente nipote e figlia di Giacomo II, decisero di intervenire militarmente. Con l'appoggio di larga parte del Paese, l'esercito olandese invase l'Inghilterra. Giacomo II, incapace di resistere all'invasione, fu costretto all'esilio durante quella che è passata alla storia con il nome di Gloriosa Rivoluzione. Il Parlamento inglese lo dichiarò decaduto l'11 dicembre 1688, quello scozzese l'11 aprile 1689. Suo successore non fu il figlio primogenito maschio, Giacomo Francesco Edoardo, cattolico, ma la figlia protestante, Maria II, che regnò affiancata dal marito, Guglielmo III. I due sovrani vennero riconosciuti dal Parlamento e cominciarono a regnare nel 1689.

Giacomo venne esiliato, ma tentò ben presto di recuperare il trono perduto: nel 1689 sbarcò nell'Irlanda cattolica, da dove sperava di riuscire a giungere a Londra guidando i suoi sostenitori, che presero il nome di giacobiti. Nonostante avesse raccolto attorno a sé un folto esercito, finanziato in larga parte dal cugino francese Luigi XIV, Giacomo II venne sconfitto nella battaglia del Boyne, presso Dublino, e dovette fare ritorno in Francia. Nei suoi ultimi anni Giacomo II visse grazie ad un appannaggio garantito dal re di Francia e stabilì la sua corte presso Saint-Germain-en-Laye fino al 1701, anno della sua morte
 
Regina d'Inghilterra: Maria II

Figlia di re Giacomo II, andò in sposa al principe protestante Guglielmo d'Orange. Agli albori della gloriosa rivoluzione, nel 1688, appoggiò il marito nel suo progetto di invasione dell'Inghilterra; infatti, con la nascita del nuovo figlio del re, Giacomo Francesco Edoardo, Maria perdeva la possibilità di succedere al padre nella guida del regno d'Inghilterra. Fu così che un esercito olandese sbarcò sulle coste inglesi e che, dopo la fuga di Giacomo II, il Parlamento lo dichiarò decaduto e proclamò Maria e Guglielmo sovrani d'Inghilterra con i nomi di Maria II e Guglielmo III.
Dopo anni tornavano a regnare congiuntamente un re e una regina. Nei primi anni la coppia dovette affrontare il tentativo di Giacomo II di riprendere possesso del trono (battaglia del Boyne) e approvare un Dichiarazione che escludeva Giacomo Francesco Edoardo dalla successione in favore di Anna, sorella di Maria. Venne inoltre stabilito che, qualora Maria fosse morta, Guglielmo avrebbe regnato da solo, senza dover rinunciare ai suoi diritti, ma i suoi figli avuti da un'altra relazione non avrebbero potuto ereditare il trono.

Nella realtà dei fatti Maria II non regnò mai; i compiti politici e istituzionali erano tutti nelle mani del marito Guglielmo III. La regina aveva un compito di rappresentanza e di consiglio. Tuttavia, nei lunghi periodi di assenza di Guglielmo, che preferì sempre risiedere in Olanda e che si spostò sul continente per affrontare gli eserciti di Luigi XIV per larga parte del suo regno, Maria lo sostituì negli incarichi di maggiore rilevanza. Quando si spense nel 1694, Guglielmo III regnò da solo per i restanti anni.

Regina di Gran Bretagna: Anna

Il 1 maggio 1707, Inghilterra e Scozia furono unite in un unico regno ed Anna divenne la prima sovrana di Gran Bretagna. Anna fu anche l'ultima sovrana del casato degli Stuart; le succedette un lontano cugino, Giorgio, del casato di Hannover, discendente di Elisabetta, figlia di Giacomo I.
La vita di Anna fu segnata da molte crisi relative alla successione alla corona. Oltre alle già ricordate vicende legate alla Gloriosa Rivoluzione, Anna soffriva della sindrome di Hughes-Stovin, che le rendeva estremamente difficile portare a termine la gravidanza; infatti la regina ebbe dal marito, Giorgio di Danimarca, un figlio, che le premorì (1700).
L'incapacità prima di Maria e poi di Anna di generare un figlio che sopravvivesse fino all'età adulta provocò una nuova crisi di successione, perché in assenza di un erede protestante, suo padre Giacomo II o Giacomo Francesco Edoardo, figlio della seconda moglie dell'ex re, avrebbero potuto cercare di riconquistare il trono. 

La vittoria dei due Stuart sarebbe stata un ritorno al cattolicesimo romano e all'assolutismo. Fu per questa ragione che il Parlamento approvò una legge di successione che escludeva tutti i discendenti cattolici degli Stuart, designando al loro posto i protestanti principi d'Hannover, discendenti di Sofia del Palatinato lontana parente di Anna. L'Inghilterra costrinse la Scozia ad accettare questa scelta, giungendo nel 1707 all'unificazione dei due regni con l'Atto di Unione.
Quando Anna si spense nel 1714 la successione era decisa: il tedesco Giorgio, con il nome di Giorgio I, divenne re inaugurando una nuova dinastia.
 

Il giacobitismo

Dopo la sconfitta sul fiume Boyne, Giacomo II rinunciò definitivamente a ritornare sul trono e visse i suoi ultimi anni ritirato a Saint Germain sotto la protezione del cugino Luigi XIV. Alcuni stati europei tuttavia continuarono a considerarlo come il legittimo re d'Inghilterra: Francia e Stato della Chiesa, alla morte di Giacomo II, riconobbero il figlio Giacomo Francesco Edoardo re con il nome di Giacomo III. Conosciuto anche con il nome di Vecchio Pretendente, Giacomo III tentò di reimpadronirsi del trono e sbarcò in Inghilterra per ben due volte; nonostante l'aiuto garantito delle milizie assoldate da John Erskine, conte di Mar venne sconfitto e si ritirò a Roma. 

Alla sua morte, avvenuta nel 1766, suo figlio Carlo Edoardo venne riconosciuto come Carlo IV e seguì le imprese del padre nel tentativo di tornare sul trono. Con la complicità di insurrezioni, passate alla storia con il nome di insurrezioni giacobite, scoppiate in Scozia, Carlo combatté contro le truppe regolari inglesi, ottenendo però una lunga serie di sconfitte che culminarono con la battaglia di Culloden: i giacobiti, così erano chiamati i sostenitori degli Stuart, vennero definitivamente sconfitti.
Con la morte di Carlo Edoardo il titolo di pretendente passò al fratello cardinale Enrico Benedetto, che fu l'ultimo membro della famiglia Stuart. Il titolo di Pretendente giacobita al trono d'Inghilterra passò poi nelle mani di discendenti sabaudi; suoi detentori furono poi gli Asburgo-Este e i Wittelsbach. Oggi il titolo è detenuto dal duca di Baviera Francesco Wittelsbach.

Due Europe tra Seicento e Settecento: un secolo di guerre

Tra il 1667 e il 1765 l'Europa fu quasi sempre in guerra. Non si trattava più di guerre di religione, che erano terminate con la pace di Westfalia, ma di guerre combattute per il possesso di nuovi territori e per stabilire un nuovo equilibrio tra gli Stati. Spesso si trattò di guerre di successione: le dinastie europee erano tutte imparentate, e un trono vacante per assenza di eredi diretti poteva essere rivendicato da molti.
Merita ricordare la guerra dei Sette anni (1756-63) che in un certo senso fu la prima guerra mondiale della storia. Si combattè, infatti, in Europa, India e America.

La politica espansionista di Luigi XIV fu all'origine del secolo di guerra. Approfittando della debolezza di Inghilterra ( alle prese con la crisi interna ) e Austria ( pressata dai turchi ), la Francia riuscì a compiere una serie di annessioni. A partire dagli anni Ottanta del Seicento, però, la coalizione antifrancese fu in grado di contrastare il re Sole, che fu messo in gravi difficoltà con la guerra di successione spagnola (1701-13). Le pretese di supremazia della Francia furono così sconfitte.

La Spagna, estintasi la dinastia degli Asburgo, passò in mano a un ramo dei Borboni, ma perse parte del suo impero coloniale.
Nel 1713 la dominazione spagnola in Italia ebbe fine. La pace di Aquisgrana (1748), con cui finì la guerra di successione austriaca, segnò l'inizio della dominazione austriaca e borbonica. Il paese, a eccezione del Regno di Sardegna (in mano ai Savoia), era debole e frammentato. Per quanto riguarda i traffici commerciali, che ormai si svilupparono a livello mondiale, i grandi sconfitti, rispetto ai secoli precedenti, furono gli Stati iberici e l'Italia.

Nel 1683 l'esercito turco giunse ad assediare Vienna, ma fu costretto a ritirarsi. Iniziò così il declino dell'Impero ottomano, che in seguito venne più volte sconfitto dalle potenze europee, soprattutto dall'Austria.

La Russia ottenne una <<finestra sul Baltico>> sconfiggendo la Svezia e si inserì saldamente nella vita economica e politica dell'Occidente.
La Prussia si rafforzò notevolmente a danno della Svezia, della Polonia e dell'Austria. Questo Stato, destinato a una straordinaria ascesa che culminò nel 1871 con l'unificazione della Germania, era governato dallo spregiudicato Federico II il Grande. Questi approfittò della crisi dinastica in Austria per occupare la Slesia e della debolezza della Polonia per spartirsi il suo territorio con Austria e Russia. Alla fine del Settecento la Polonia sparì dalla cartina europea.

L'Olanda lasciò il primato marittimo all'Inghilterra che, alla fine del secolo delle guerre, si presentava come la maggiore potenza coloniale e commerciale, arbitra dei nuovi equilibri.

Due Europe tra Seicento e Settecento: l'assolutismo in Russia e Prussia

La Russia era rimasta isolata dai grandi cambiamenti sociali e culturali dell'Europa occidentale.
Lo zar Pietro I il Grande, al potere dal 1689, cercò di occidentalizzarla: voleva edificare uno Stato assoluto, sottolineando la nobiltà e tutte le istituzioni che, come la Chiesa ortodossa, si opponevano alle riforme. Pietro riuscì ad avviare la modernizzazione della Russia che restò tuttavia un paese economicamente e socialmente arretrato.

La Prussia, un regno affermatosi nel corso del Seicento, era frammentata e arretrata. Federico Guglielmo I (1713-1740) la rinnovò, portandola fra le grandi potenze europee.
Alla Fine del regno di Federico Guglielmo I la Prussia poteva vantare un apparato burocratico e un sistema fiscale efficienti.
Soprattutto il sovrano poteva disporre di un agguerrito esercito guidato da un corpo di ufficiali preparati ed estremamente fedeli. Alla sua morte (1740), lasciò al figlio Federico II uno stato pronto a espandersi e a inserirsi a pieno titolo nelle contese delle grandi potenze europee.



Lo sviluppo di Russia e Prussia tra Sei e Settecento presenta alcuni aspetti comuni:
- i sovrani riformarono lo Stato puntando all'assolutismo anche attraverso la creazione di una burocrazia statale stabile. L'apparato militare ebbe grande rilevanza: in Prussia l'esercito costituì la base dell'espansione del paese;
- dal punto di vista sociale si cercò di sottoporre la nobiltà alla Corona, inserendola nei ranghi dell'amministrazione statale. In Russia fu forte la spinta verso l'occidentalizzazione degli usi e della cultura.
Tuttavia, in entrambi i casi, le riforme vennero imposte dall'alto a una società contadina, in cui dominava il latifondo e mancava la borghesia imprenditoriale e produttiva.

Due Europe tra Seicento e Settecento: la Francia del re Sole

Fino al 1661 la Francia fu retta dall'abile cardinale Mazarino. Alla morte di questi, Luigi XIV non nominò più un Primo ministro: volle tenere il potere saldamente nelle proprie mani. Credeva all'origine divina del potere monarchico e scelse per sé l'emblema del Sole, simbolo di potenza e centralità. Costruì uno Stato assoluto, identificato nella sua persona, che in seguito fu preso a modello dagli altri sovrani europei. Alla sua morte, nel 1715, il popolo festeggiò la fine del suo lungo e oppressivo regno.
La monarchia assoluta accentra tutto il potere nelle mani del sovrano, che a suo arbitrio controlla organi e funzionari e convoca le assemblee rappresentative. Il re è vincolato solo dal rispetto dell'ortodossia religiosa e delle norme di successione al trono.

Luigi XIV cercò di limitare i poteri di Chiesa, nobiltà e Parlamenti e di assumere il controllo di tutta la macchina statale. Perciò:
- formò una nuova classe dirigente a lui fedele, scelta non più tra i nobili ma tra i borghesi più capaci. Riuscì a porre in posizione subordinata la grande nobiltà;
-creò una burocrazia direttamente dipendente dalla Corona: istituì un sistema di consigli e utilizzò gli intendenti, funzionari che controllavano il funzionamento di tutta l'amministrazione.



La politica fiscale e quella economica furono affidate a Jean- Baptiste Colbert, il quale:
- risanò il sistema fiscale e amministrativo, caratterizzato da abusi e inefficienza. Le entrate della corona aumentarono considerevolmente;
- applicò la politica mercantilista, che prevede l'intervento statale a tutela della produzione interna con incentivi alla esportazioni e dazi per limitare le importazioni.
Luigi XIV riformò l'esercito ed eresse fortificazioni lungo le frontiere. Puntava all'egemonia in Europa: durante il suo regno la Francia fu quasi costantemente in guerra.
Con la politica culturale cercò il controllo delle coscienze.
Il dissenso fu represso con la censura, e la cultura ufficiale produsse grandi opere celebrative della sua figura.
Luigi XIV concepì la religione come uno strumento di governo: cercò di controllare il clero francese (gallicanesimo), scontrandosi con il papato. Inoltre combattè il dissenso religioso, perseguitando giansenisti e ugonotti, che rivendicavano la libertà di coscienza.

Due Europe tra Seicento e Settecento: le rivoluzioni inglesi

I sovrani della dinastia Stuart che ressero l'Inghilterra dal 1603 al 1688 tentarono più volte d'imporre al paese una monarchia assoluta. Tale tentativo, però, incontrò una forte resistenza nella società inglese che avanzò precise rivendicazioni religiose, giuridiche ed economiche.
Intanto, cresceva un vasto dissenso nei confronti della Chiesa anglicana, la Chiesa di Stato il cui capo supremo era il re, guidata da un clero spesso corrotto.
Molti fedeli aderirono al movimento puritano, caratterizzato da una più severa osservanza della dottrina calvinista e dalla rivendicazione di un'organizzazione ecclesiastica gestita dal basso. La comunità aveva cioè il diritto di eleggere i propri pastori, secondo un principio democratico che lasciava libera espressione alla coscienza individuale.
Questa rivendicazione aveva un valore rivoluzionario: significava pensare ad una monarchia dotata di un potere non assoluto ma limitato ( lo Stato non poteva infatti esercitare la propria sovranità sulla coscienza dei singoli).

Le rivendicazioni religiose si saldarono immediatamente con quelle politico-giuridiche avanzate dal Parlamento. Il tentativo del sovrano Carlo I di imporre l'assolutismo indusse il Parlamento a difendere i propri diritti.
Nel 1628 l'assemblea presentò la Petizione dei diritti con cui chiedeva al re di rispettare le tradizionali prerogative sancite dagli statuti medievali e in particolare dalla Magna Charta del 1215. La petizione difendeva soprattutto il principio della libertà personale, per cui nessun suddito poteva essere arrestato arbitrariamente , e l'obbligo di sottoporre ogni nuova imposizione fiscale all'approvazione delle Camere.
Si era creato, quindi, un conflitto fra gli interessi del Parlamento e quelli del sovrano.

Anche sul piano dell'economia cresceva la distanza tra corona e paese: i ceti produttivi tolleravano sempre meno l'intromissione della monarchia contestando i monopoli che il monarca concedeva e le leggi con cui governava.
I ceti produttivi traevano grandi profitti dal commercio e dall'espansione coloniale. Pretendevano quindi che la monarchia appoggiasse i loro interessi con appropriate scelte in politica estera e con adeguati provvedimenti.
Maturava dunque l'esigenza della società inglese di partecipare direttamente alla gestione dello Stato.

Le rivendicazioni  del Parlamento non furono accolte da Carlo I. Il re non intendeva rinunciare al potere assoluto. Ben presto l'Inghilterra precipitò in una grave guerra civile che insanguinò il paese per sette anni.
Il Parlamento contava sull'appoggio delle masse popolari, mentre con il re si schierarono le gerarchie della Chiesa anglicana e quella parte di nobiltà spaventata dalla radicalità delle rivendicazioni avanzate.
Vinse la battaglia l'esercito del Parlamento guidato da Oliver Cromwell, il New Model Army che, sorto dalle direttive di Cromwell, dimostrò da subito le sue capacità strategiche, nonché lo spessore intellettuale e politico di chi lo componeva.
Fu proclamata la repubblica; il monarca fu processato e condannato a morte. Il Parlamento, processando il re, aveva di fatto  affermato il proprio primato. Esso però ora non riusciva a governare perché diviso in troppe fazioni.
Si erano diffuse, inoltre, tendenze radicali, come quelle dei Levellers, che si esprimevano nella richiesta del suffragio universale, e quelle dei Diggers che richiedevano persino l'abolizione della proprietà privata.
Per preservare il paese dall'anarchia, Cromwell e i capi dell'esercito elaborarono un documento nel quale si proponeva di affidare lo Stato ad un Lord Protettore, cioè a Cromwell stesso. Si trattò di una vera svolta dittatoriale che finì per preparare il ritorno della monarchia. Due anni dopo la morte di Cromwell, infatti, venne restaurata la monarchia.

La maggioranza del Parlamento acconsentì alla restaurazione della monarchia con Carlo II per garantire all'Inghilterra una pace duratura.
Quando fu chiaro che l'intenzione del sovrano era di ritornare a un ordinamento assolutistico, gli antichi contrasti esplosero nuovamente.
Il vero scontro tra Parlamento e monarchia si verificò alla morte di Carlo II, nel 1685, quando il trono passò al fratello Giacomo II. Il re realizzò una politica fortemente antiprotestante con l'obbiettivo di restaurare la religione cattolica in Inghilterra.
L'ostilità del Parlamento divenne ancora più determinata quando Giacomo II ebbe un erede maschio. Nella volontà di difendere il protestantesimo e la libertà del paese il Parlamento decise quindi di offrire la corona a Guglielmo d'Orange, sposo di Maria Stuart, figlia protestante di Giacomo II.
Nella discussione che portò a questa scelta, i diversi orientamenti presenti nel Parlamento si raccolsero in due schieramenti:
- i whigs, filoparlamentari;
- i tories, difensori delle prerogative regie, della Camera dei Lords e della Chiesa anglicana.
La formazione dei partiti era una novità assoluta nella politica europea.

Nel 1688 Giacomo II, ormai isolato, fuggì dal paese e Guglielmo potè prendere possesso del trono. Il Parlamento aveva compiuto una specie di miracolo: aveva realizzato un colpo di Stato senza nessuna violenza. Proprio per questo la rivoluzione venne definita <<gloriosa>>: perché non vi era stato nessuno spargimento di sangue.
L'aspetto più importante della Gloriosa Rivoluzione fu che il Parlamento impose a Guglielmo di giurare una Dichiarazione dei diritti in cui venivano sanciti i diritti dei cittadini e del Parlamento.
Questi diritti, che il sovrano si impegnava a rispettare, rappresentavano il limite del suo potere.
La Dichiarazione dei diritti affermava chiaramente che le iniziative del sovrano dovevano godere del consenso del Parlamento. Di fatto si applicò il principio del << contratto>>: un accordo tra Parlamento e Corona che garantiva le libertà politiche e religiose, la certezza del diritto e la fine dell'arbitrio.
Sulla base di questi principi venne approvato nel 1689 l'Atto di tolleranza che, pur escludendo i cattolici, poneva di fatto fine all'epoca delle persecuzioni religiose. Nel 1701, infine, venne emanato l'Act of Settlement, che garantiva l'indipendenza dei giudici e impediva una successione cattolica al trono inglese.



Guglielmo III morì nel 1702 e la corona passò ad Anna, figlia di Giacomo II e ultima Stuart. Pochi anni dopo, nel 1707, venne creato il Regno Unito di Gran Bretagna, formato dall'unione politica di Scozia, Irlanda e Inghilterra.
Anna Stuart morì nel 1714 senza lasciare eredi diretti. La Gran Bretagna passò a Giorgio di Hannover, protestante e lontanamente imparentato con gli Stuart, che prese il nome di Giorgio I e diede inizio alla dinastia che ancora oggi regna in Inghilterra.

Il Parlamento inglese era costituito da due Camere: la <<Camera dei Lords>> riservata ai primogeniti delle più importanti famiglie aristocratiche e ai prelati della Chiesa anglicana; e la <<Camera dei Comuni>> composta dai rappresentanti eletti dalle classi agiate delle città e delle contee.
Va ricordato che non tutti i cittadini avevano diritto di voto: il Parlamento, dunque, non rappresentava gli interessi di tutti gli Inglesi, ma solo quelli dei ceti dominanti.

Moda nel XVI e XVII secolo

Il XVI secolo


Durante il XVI secolo le vicissitudini della vita politica italiana, contesa tra Francia e Spagna, e la caduta della penisola sotto l'influenza spagnola, finirono per influenzare la moda che si può suddividere in due momenti, con fogge completamente diverse. Nella prima metà l'influsso Rinascimentale propose ancora il trionfo del corpo: le vesti cominciarono ad allargarsi. Non fu più di moda il tipo gotico longilineo, ma la donna rotonda come le Veneri di Tiziano. Venezia fu in particolare la città italiana dove il costume femminile si espresse con maggior libertà: scollature profonde ed elementi tratti dall'abbigliamento orientale, come i primi orecchini che, come riferisce un cronista scandalizzato foravano le orecchie "a guisa di mora". Alcune stranezze del vestiario femminile colpirono i contemporanei: ad esempio l'uso di portare sotto la gonna, braghe rigonfie lunghe fino al ginocchio, moda probabilmente importata da Lucrezia Borgia. Le veneziane si tingevano anche i capelli di rosso tiziano. L'uomo cercò di accentuare la sua virilità: muscoloso, con spalle larghe e barba folta, metteva in mostra anche i suoi attributi sessuali, indossando la braghetta una sorta di rigonfio sull'inguine chiaramente fallico. Si continuarono a usare più abiti sovrapposti, spesso con maniche tagliate da cui uscivano gli sbuffi della camicia; la pelliccia fu più evidente nei grandi colli a scialle dei soprabiti. La più pregiata era la lince, detta "lupo cerviero".
Dalla seconda metà del Cinquecento mentre nel resto d'Europa si erano già formati gli Stati nazionali, l'Italia fu divisa in principati, alcuni retti direttamente da dinastie non italiane. Da questo momento in poi iniziò un processo di maggior irrigidimento dei costumi, forse a causa dell'influenza della moda Spagnola, e dell'intervento morale della Controriforma. Gli abiti tornarono a chiudersi sul busto, scomparvero le scollature che alla fine del secolo furono sostituite da un abito a collo alto e dalla gorgiera, un rigido collo di pizzo inamidato. Fecero anche la loro comparsa i primi busti, in metallo, con la punta che si spingeva verso il ventre. Le gonne si disposero in una rigida campana grazie all'introduzione delle prime sottogonne imbottite. Anche gli uomini cambiarono stile, chiudendo come le donne il collo del busto, ma continuando a mostrare le gambe, a cui si sovrapponevano nella parte superiore bragoni rigonfi e tagliati verticalmente, di forma ovoidale. Le gambe muscolose furono una vera e propria esibizione di vanità: sappiamo che Enrico VIII d'Inghilterra andava fiero delle sue. Altri cronisti, scandalizzati, riferiscono che alcuni uomini con le gambe smilze si imbottivano i polpacci. Il colore nero, di derivazione spagnola, era preferito agli altri. La rigidezza degli abiti, che trasformava la figura in forme geometriche e impediva movimenti sciolti, dava al corpo una forma ieratica che sottolineava la superiorità morale dell'aristocrazia rispetto alla volgarità della plebe. Si andava delineando con molta forza il vestito delle classi alte, che trovò un parallelo anche nell'arte, dove il popolo era dipinto in forma grottesca e caricaturale.

Il XVII secolo

Occupata prima dalla Francia, poi dalla Spagna, l'Italia iniziò un periodo di decadenza che si rifletté anche sulla moda. Infatti le nazioni vincenti imposero forme e colori, e il baricentro dell'eleganza si spostò soprattutto a nord. Da questo periodo fino a quasi i giorni nostri la Francia fu il paese da cui tutta l'Europa, e in particolare la nobiltà, copiò gli abiti. Il centro di maggiore irradiazione diventò la corte del re. Si apriva il periodo denominato Barocco e caratterizzato da un'esuberanza di forme e da un accostamento, spesso eccentrico, di materiali. La Spagna ebbe minor influenza, se non per l'uso, copiato soprattutto in Italia, del colore nero.
Questo periodo fu detto Barocco, (termine incerto che indica stravagante o bizzarro) con cui definiamo solitamente il XVII secolo. Caratteri principali dell'arte barocca furono la sovrabbondanza di decorazioni, di marmi, di stucchi; si voleva che di fronte a un quadro o ad un edificio lo spettatore rimanesse stupito e meravigliato; si voleva stimolarne l'immaginazione, con un forte senso di teatralità. Anche il vestito fu caricato fino all'inverosimile, perdendo del tutto il senso di essenzialità che era stato caratteristico del primo Rinascimento.
Nei primi anni del secolo la moda femminile fu caratterizzata dai rigidi busti a punta, dalla gonna a campana, dal collo a gorgiera, detto anche "ruota di mulino" o "lattuga". Gioielli erano sparsi su tutto l'abito. Successivamente, per influenza francese, le vesti tornarono ad aprirsi sul davanti, arricciandosi lateralmente con scollature a barchetta sottolineate da grandi collari di pizzo. Verso la fine del secolo la donna indossò una veste aperta davanti e sovrapposta a una gonna, che aveva lo strascico arricciato nella parte posteriore. Si introdusse la moda delle cuffie, dette alla Fontange, nate per caso dalla omonima favorita del re Sole che, durante la caccia, si spettinò i capelli e, audacemente, si sollevò la gonna e con le giarrettiere creò questa nuova acconciatura. Spopolarono anche i falsi nei in seta (conosciuti già all'epoca dei Romani) che avevano un significato galante a seconda della posizione in cui venivano incollati. Anche il costume maschile, rigido all'inizio, diventò più sciolto.
La guerra dei Trent'anni tra Francia, Spagna e Inghilterra modificò il comportamento maschile, che doveva sembrare maestoso con le spalle tirate indietro, con la mano perennemente appoggiata sul fianco, le gambe ben piantate, il viso col mento rialzato: un maschio atto alle armi, che incuteva paura. Caratteristico il costume quasi militaresco, con l'uso perenne degli stivali in cuoio, lo spadone e marziali baffi alla moschettiera, mentre la scia dei bravi che seguivano il signore non faceva che instillare timore e rispetto.

L'influenza del Re Sole sulla moda


ritratto del Re Sole in una stampa del XVII secolo
Il peso più importante sulla moda lo ebbe Luigi XIV, detto il re Sole. Luigi infatti obbligò la nobiltà francese a trasferirsi a Versailles, memore dei problemi che i suoi antenati avevano avuto coi feudatari ai tempi della Fronda. La vita della reggia ruotava attorno a lui, che comandava la sua corte in modo assoluto, imponendo comportamenti e stili vestiari. Precise regole obbligarono i cortigiani a indossare determinati capi d'abbigliamento. L'estetica maschile abbandonò i segni della forza. Il nuovo tipo di cortigiano fu chiamato homme de qualité, e aveva alcune precise prerogative come l'essere ricco, alla moda, e ricevuto in società, escludendo a priori la classe borghese.
Tra il 1655 e il 1675 si impose il periodo più ricco e stravagante della moda francese, che perse la sua severità e si caricò di ornamenti frivoli. Particolarmente curiosi furono i calzoni alla Rhingrave, presentati a corte dal Rhein Graf (conte del Reno) e costituiti da una gonna pantalone molto larga e ornata di nastri e fiocchi laterali. Sopra al busto si indossava un bolero da cui fuoriusciva fluente la camicia. Aboliti gli stivali, tornarono le calze e le scarpe col tacco, che era rosso solo per il re e la nobiltà. Sotto il suo regno il Re regolava l'abito secondo le stagioni, le circostanze, il rango. Indicava la lunghezza dei galloni e perfino il materiale dei bottoni. Il re proibì l'uso delle casacche ornate d'oro e d'argento che concesse solo agli uomini più meritevoli della sua corte. Nacquero così i justaucorps à brévet, ossia casacche azzurre foderate in rosso e portate solo dalla sua scorta privata.
Una novità assoluta fu l'introduzione della veste a tre capi: marsina (una giacca al polpaccio), sottomarsina, un lungo gilè, e braghe corte al ginocchio. Questo insieme, detto Habit à la française, fu copiato in tutta Europa. Altra novità fu l'uso della parrucca maschile, un torrione di riccioli che arrivava a mezzo busto e ingrandiva e stilizzava l'aspetto di chi la portava. La parrucca più costosa era di capelli veri, mentre chi non se la poteva permettere se la faceva fare in crine o lana.
Infine al Seicento si deve l'invenzione della cravatta, all'inizio una lunga striscia di mussola ornata di pizzo che veniva avvolta negligentemente attorno al collo. Questo tipo di nodo provvisorio fu imitato dopo la battaglia di Steinkerque, quando gli ufficiali dovettero accorrere in fretta e furia sul campo, annodandosi malamente la cravatta. Il merletto, inventato a Venezia un secolo prima, e rigidamente protetto dalle leggi della Repubblica, fu introdotto con uno stratagemma in Francia e adottato da uomini e donne.

L'antico regime: lo Stato

Tra il XII e il XV secolo, le monarchie feudali erano caratterizzate da una sorta di contratto tra sovrano e società: nella sostanza, clero, nobiltà e Terzo stato accettavano di sottomettersi all'autorità del re nella misura in cui si faceva garante dei loro privilegi. Il re era una specie di supremo magistrato e non poteva introdurre nessuna innovazione di rilievo senza il consenso dei sudditi.
Progressivamente, però, i sovrani rigettarono questo ruolo di arbitri e rivendicarono un potere assoluto. In estrema sintesi, il sovrano:
- respinse la formula medievale l'ex facit regem, <<la legge fa il re>>, nel senso che è la legge a fondare e limitare il potere sovrano;
- e adottò la formula assolutistica Rex facit legem, <<il re fa la legge>>, cioè è il re a fondare la legge e a determinarne la validità.
Concretamente, però, i sudditi non avevano nessuna possibilità di difendersi dalle pretese della corona: un suddito non aveva diritti ma solo doveri.
La monarchia assoluta si affermò in Europa dopo la guerra dei Trent'anni (1618-1648) e fu la forma di Stato tipica dell'antico regime.

L'assolutismo va inteso come un <<progetto>> piuttosto che come un <<fatto>>: il sovrano puntava ad esercitare un controllo completo sul territorio e sulla società, ma in realtà non aveva alcuna possibilità di riuscirci.
Oltre a essere disorganizzata, la burocrazia, per quanto crescesse senza posa, risultava insufficiente: ciò spiega l'esistenza di isole in cui il potere centrale contava assai poco e il fatto che gli editti regi fossero talora disattesi senza troppo curarsi delle sanzioni minacciate.

Un altro aspetto fondamentale dello Stato d'antico regime era l'alleanza tra trono e altare. Il potere temporale esercitava un controllo diretto sulle gerarchie ecclesiastiche e questo valeva nei paesi cattolici e ancor di più in quelli protestanti. Il sovrano pretendeva dal clero obbedienza e collaborazione; in cambio amava presentarsi come il protettore della vera fede, cioè di quella che lui stesso professava. Questa forte alleanza tra trono e altare era un'eredità dei secoli XVI e XVII, che avevano visto l'esplosione della Riforma protestante, la reazione controriformistica della Chiesa cattolica, le persecuzioni e le guerre di religione.
In quest'epoca le Chiese si erano avvalse degli strumenti repressivi del potere temporale per perseguitare gli eretici e per tutelare la loro autorità. In cambio avevano offerto al rebil riconoscimento del suo potere che ancora veniva ritenuto sacro e d'origine divina.
L'identificazione Chiesa-Stato costituiva la radice fondamentale dell'intolleranza: verso le minoranze religiose e, in generale, verso chiunque non si conformasse pienamente ai costumi dominanti.

Nei secoli dell'antico regime lo Stato era considerato un patrimonio della dinastia regnante. Ovviamente il re non aveva il possesso di tutte le terre del regno, ma era padrone di agire come voleva su di esse.
Come tutti i beni, anche lo Stato alla morte del legittimo proprietario, cioè il sovrano, passava in eredità ai suoi figli.
Questa concezione patrimoniale e dinastica dello Stato giustificava le pretese assolutistiche: il sovrano cioè era libero di disporre dello Stato proprio in quanto legittimo proprietario. La Rivoluzione francese, infatti, contesterà questo principio affermando che il fondamento <<di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione>>, cioè nell'insieme degli individui che la costituiscono.

L'antico regime: le gerarchie sociali

Nell'antico regime leggi e diritti non erano uguali per tutti. I diritti, infatti, erano concepiti come privilegi di nascita o elargiti dalle autorità. La società, dunque, era divisa in ordini (detti anche ceti o stati, formati da individui che per nascita godono degli stessi diritti). In teoria la disuguaglianza fra gli ordini corrispondeva alle diverse funzioni sociali:
- il clero, amministrava il culto divino;
- la nobiltà, garantiva la difesa;
- il Terzo stato, doveva lavorare per l'intera comunità.

La nobiltà deteneva il primato sociale. La sua potenza era fondata sul controllo della terra, e ad essa era vietato lavorare e commerciare (viveva delle rendite fondiarie). Ciò portò molti nobili alla rovina. I nobili caduti in miseria continuavano a godere dei privilegi, ma il potere era di fatto nelle mani della ristrettissima élite che disponeva di grandi ricchezze. Ciò valeva anche per il clero, perlopiù tutt'altro che ricco.

La borghesia doveva la sua fortuna agli affari e alle professioni liberali. I suoi ideali erano legati allo spirito di profitto: imprenditorialità, dedizione professionale e attenzione bella gestione del patrimonio. Dall'XI secolo si realizzò l'ascesa di questa classe sociale, in virtù della sua crescente ricchezza. Ma il primato sociale rimase alla nobiltà, tanto che i borghesi cercavano di accedere all'ordine nobiliare acquistando titoli e feudi.

L'antico regime: una società rurale

L'antico regime era una società rurale: l'85% della popolazione viveva in campagna e l'agricoltura deteneva un'assoluta centralità produttiva. Il vincolo più forte dell'economia era costituito dalla disponibilità della terra. Infatti, non vi furono grandi miglioramenti nella produttività del lavoro (sempre molto bassa).
L'unico modo per aumentare le risorse fu dunque di ampliare la superficie coltivata. Per soddisfare le esigenze primarie di dieci persone era necessario il lavoro di sette o otto uomini, comportando una forte concentrazione della forza lavoro nell'agricoltura (65-90% della popolazione).
La scarsa produttività del lavoro consentiva solo a pochi di vivere del lavoro altrui: anche i vecchi, i bambini e le donne, dunque, lavoravano.

Nella società d'antico regime la dimensione dell'industria era rappresentata dalla bottega artigiana o dal lavoro a domicilio. Spesso queste attività erano svolte da contadini nelle loro case, soprattutto nei periodi di calo dei lavori agricoli o anche a mezza giornata.
Il peso del settore industriale era marginale sia per il numero di uomini occupati sia per la quantità di capitale investito.
Le eccezioni non mancavano: nel Cinquecento gli stabilimenti tessili <<Gobelins>> avevano circa 1700 dipendenti, 2000 l'arsenale di Venezia, circa 700 le miniere di allume di Tolfa. Queste imprese erano controllate o direttamente dagli Stati o da finanzieri che spesso avevano acquisito le loro fortune nel commercio a grande distanza.

L'Europa occidentale era l'area più urbanizzata del mondo. Si può affermare che nell'Europa d'antico regime, su 10 persone, una sola vivesse in una città vera e propria, 2 in piccoli borghi rurali con circa 2000 abitanti e 7 in villaggi di campagna di 500-700 abitanti. Questi villaggi erano esclusi dalle innovazioni economiche e sociali che preparavano il mondo contemporaneo e che si sviluppavano nelle città. Gli storici li hanno addirittura definiti immobili.
Questa immobilità era causata soprattutto dall'isolamento in cui si svolgeva la vita dei villaggi rurali.
I mezzi di trasporto erano lentissimi e rendevano distanze per noi assai modeste, enormi. Le comunicazioni commerciali erano dunque del tutto inadeguate e risultava poco conveniente vendere o acquistare merci lontano dalla propria comunità. Tutto ciò impegnava questi piccoli villaggi nella ricerca di una difficile autosufficienza: la loro economia era così ancora dominata dall'autoconsumo e dal baratto.

Contraria ai villaggi era l'estrema vitalità delle città. Nelle città, infatti, maturarono le rivoluzioni che inaugurarono l'epoca contemporanea. Esse ospitavano solo una piccola parte della popolazione, ed ebbero grandissima importanza perché furono il luogo in cui si realizzarono grandi innovazioni economiche e sociali.
Nelle città si trovavano i centri di controllo di tutte le più importanti funzioni politiche, economiche, culturali e militari. Inoltre, la diffusione di città con decine di migliaia di abitanti implicò problemi di approvvigionamento che andavano ben al di là della possibilità di sostentamento che le campagne circostanti offrivano. La città poteva sopravvivere solo ricorrendo ai grandi traffici commerciali, sfruttando fino in fondo le possibilità offerte dall'economia di mercato. Nella realtà urbana, infine, era necessario risolvere grandi problemi (il rifornimento idrico, le fognature, la sanità), applicando tutte le innovazioni tecnologiche e culturali che i tempi offrivano.
Ma al contadino, che vi si recava ogni tanto per pagare l'affitto, la città suggeriva ben altre considerazioni. Nella città, in questo luogo innaturale dove non si produceva quasi niente e si trovava tutto, si rivelava con maggiore brutalità il divario enorme che separava il povero dal ricco, le disuguaglianze e i privilegi che costituivano l'essenza della società d'antico regime.

L'antico regime: la popolazione

Con "Antico regime" s'intende il genere di società che caratterizzò l'Europa dal XIV al XIX secolo. L'espressione fu coniata durante la Rivoluzione francese riferita al sistema che si intendeva abbattere, che era caratterizzato:
- dall'autorità di un sovrano assoluto, alleato
. con una Chiesa intollerante;
- dai privilegi di nascita, dall'oppressione per
. i sudditi, oppressi dalle imposte e, se contadini, obbligati alle servitù personali.
Nell'antico regime convissero e si stratificarono istituzioni e fenomeni appartenenti ad epoche diverse: per questo è difficile periodizzarlo. Secondo la tradizione, la sua fine avvenne tra Settecento e Ottocento, in seguito alla Rivoluzione francese e a quella industriale; per altri, esso è tramontato del tutto solo con la prima guerra mondiale.

Tra il 1300 e il 1700 l'incremento della popolazione fu solo del 30%, e le cause di questo stallo furono:
- l'alternarsi di fasi di crescita e di fasi di crisi: l'aumento della popolazione venne contrastato ciclicamente da guerre, carestie ed epidemie;
- il matrimonio tardivo, quindi la riduzione del periodo fecondo.

La società era estremamente giovane a causa della breve durata della vita media. Le condizioni igienico-sanitarie, fame, malattie e lavoro rendevano estremamente limitata la durata della vita media ( 34 anni per le donne, 28 per i maschi). Vi era inoltre un'elevata mortalità infantile.